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alessandro vignali
cosmo interiore

Venerdì 25 marzo alle ore 19.00 all’Officina Creativa dell’Abitare di Montalcino riprende il ciclo dei venerdì OCRA. La prima serata di questa nuova stagione è dedicata ad Alessandro Vignali, pittore romano che attraverso le sue tele metterà lo spettatore di fronte ad una pittura nata come necessità interiore, frutto del rifiuto deliberato e consapevole di ogni genere e scuola, alla continua ricerca di una purezza espressiva assoluta.

Alessandro Vignali ha iniziato a dipingere nella tarda adolescenza e da allora non ha più smesso. In questi oltre trent’anni di attività artistica, ha prodotto un numero straordinario di tele, incentrando la propria cifra espressiva su alcuni soggetti forti, tra i quali: la guerra, le città del futuro e i volti femminili.
Nei quadri dell’artista emerge diuturno, pur se filtrato da una simbologia molto articolata, il proprio conflitto interiore. Tuttavia sarebbe del tutto sbagliato pensare a una pittura autoreferenziale. Una delle grandi doti di Vignali è la capacità di sollevare questioni universali e di costringere chi si pone dinanzi alla sua opera d’arte di riflettere su se stesso. Non sono solo i quadri a entrare nell’immaginario dell’osservatore, ma è anche quest’ultimo a essere coinvolto e calamitato dalle tele dando così vita a un interscambio che diventa metapittura.
Pura, profonda, scomoda e intensa, l’arte di Alessandro Vignali smuove la coscienza di ognuno di noi invitandoci ad ascoltare le voci del nostro inconscio.

Chi è | Alessandro Vignali
Alessandro Vignali nasce a Roma nel 1965 e attualmente vive e lavora ad Alviano, in provincia di Terni, dove si è trasferito all’inizio degli anni ’90 dopo un periodo caratterizzato da una serie di viaggi, soprattutto nei Paesi nordici, che hanno notevolmente influenzato la sua arte e la sua visione del mondo. La pittura, per l’artista romano, è ed è sempre stata la sua unica attività.
Vignali inizia a dipingere giovanissimo e dopo molti anni di lavoro e un gran numero di opere prodotte, la prima mostra per lui arriva nella metà degli anni ’90, in Umbria. Da lì inizia a esporre in diverse gallerie in Italia e all’estero, tra le quali la galleria Il Melone di Rovigo (in una personale a cura di Nicola Galvan) fino alle recenti mostre a Londra, New York, Bratislava e Terni, con una personale a Palazzo di Primavera curata da
Enrico Mascelloni. Una sua opera è in mostra permanente al museo di arte contemporanea della stessa città umbra.
Recentemente un’opera dell’artista è stata selezionata per partecipare alla HCMAB 2016 (la quinta edizione della Himeji Castle Modern Art Biennale) che si terrà a luglio in Giappone.

In mostra dal 25 marzo al 20 aprile 2016
Da martedì a venerdì ore 10.00 – 17.30

La degustazione di apertura sarà offerta dall’azienda Cupano.
La storia della famiglia Cousin a Montalcino inizia negli anni settanta, quando Ornella e Lionel venivano a trovare un pittore francese, Yoran Cazac, primo straniero ad installarsi qui.
La sua casa era frequentata da Balthus, James Baldwin, Francis Kuipers, Edouard Boubat, Judith Thurmann e molti altri. Si fermavano giorni, a volte settimane. Montalcino era per tutti loro un luogo mitico, un archetipo di misura e magia. Allora era una campagna poco frequentata, il vino lo si beveva senza parlarne, il Brunello esisteva, ma non le enoteche, né le strade asfaltate. Adesso i coniugi Cousin vivono su una collina di sassi sopra l’Ombrone, che assicura drenaggio, ricchezza di minerali e una vista meravigliosa. Il loro mentore è stato Henri Jayer di Borgogna con le sue ferree convinzioni: pochi ettari, vino fatto in vigna, nessun pesticida o fertilizzante chimico, rese limitate in vendemmia eliminando ancora sulla tavola di cernita ogni traccia di uva non matura o ammuffita, lieviti autoctoni, malolattica sulle fecce fini in barriques francesi di media tostatura. Carlo Ferrini ha scelto i terreni e le barbatelle, il sesto d’impianto, l’altezza dei cordoni. François Bouchet fino alla sua scomparsa li ha iniziati alla biodinamica, semplice ed efficace di un vecchio vignaiolo quale lui era. E quando Giulio Gambelli – fissandoli in silenzio con il bicchiere in mano – si avvitava l’indice sulla guancia, imbottigliavano. Grazie a questi maestri – ci dice Lionel – “possiamo sperare oggi di non commettere troppi errori, e forse riuscire a mettere nel vino un ricordo, il paesaggio, una stagione, la memoria, un incanto.”